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2 ottobre 2022

 

DOMENICA 02 OTTOBRE SAN GIORGIO A CREMANO

Fonderie di Villa Bruno
Via Cavalli di Bronzo, 22
ore 18.00 – 20.30
€ 5 più d.p.

Spettacoli di Compagnia Movimento Danza e Compagnia Tarantarte

Workshop e incontri sulla cultura popolare

Compagnia Movimento Danza

“Il Canto delle Mani”
C’è chi canta col cuore, chi con la testa, chi con i piedi, chi con il corpo, chi magari con le sole mani – dice l’amico e M° Pasquale Scialò nel suo saggio “Venti voci per un lessico”. E c’è chi danza col cuore, chi con la testa, chi con i “piedi”, chi con il corpo, chi magari con le sole mani.
La vera natura della cultura partenopea è fondata sulla tolleranza, sull’attitudine all’interazione, alla commistione: è il frutto dei continui scambi e contatti con i Sud del mondo.
I gesti, i suoni, i colori, gli oggetti, i simboli rimbalzano, riecheggiano, viaggiano trasportati dal mare e trovano ogni volta nuove collocazioni e riutilizzazioni.
Nasce così “Il canto delle mani” una coreografia in cui contaminazioni, connessioni, moltiplicazioni, sovrapposizioni e presenze simultanee convivono nel medesimo spazio/tempo.
Il ritmo della danza si gioca in un susseguirsi di immagini che si compongono e si scompongono in una linea di continuità non tanto logica, quanto analogica. I moduli coreutici si incrociano e si incatenano, lanciati e rilanciati da un capo all’altro della coreografia, fino a formare la tessitura di tutto l’impianto scenico, in cui la forza evocativa di una simbologia arcaica e rituale è “tradotta” in un linguaggio coreografico contemporaneo.

Coreografia di Gabriella Stazio;
Musiche originali di Luigi Stazio
Musiche di: E’ Zezi Gruppo Operaio di Pomigliano Danza e della tradizione campana
Danza: Sonia Di Gennaro e Francesca Gifuni

Compagnia Tarantarte

Premesse a Kore
C’è un filo rosso che lega il presente della danza popolare alle sue origini più antiche: è il legame con il luogo in cui affondano le sue radici. È il nastro rosso avvolto attorno alle braccia delle danzatrici sulla scena che, ieratiche e seduttive, come sacerdotesse custodi di un culto misterico prima che misterioso, conducono lo spettatore alla sua iniziazione. Quello che si consuma sulla scena è infatti un drama mystikon, il dramma iniziatico al mistero della trance, che spesso è il cuore occulto e pulsante delle danze di tradizione popolare. Kore, la “fanciulla indicibile” del mito, è il nume ispiratore di questo lavoro della Compagnia Tarantarte che scava nel mito e nel rito delle danze popolari del Mediterraneo in cerca della danza originaria che è madre di tutte le danze. Così, come tante Demetre all’inseguimento di una sola Kore, come madri alla perenne ricerca di una figlia perduta forse per sempre, le danzatrici tessono i fili di una trama impossibile da ricomporre. Una storia mai esistita ma che è ancora tutta da scrivere. Una storia plurale, corale. Ognuna, sola, col proprio velo come una pagina bianca, a narrare la propria versione tra le infinite possibili – del mito e di sé – nel tentativo di penetrare il mistero di queste danze a partire dalla sua radice più profonda, il corpo, perchè solo il corpo riesce ad esprimere l’inesprimibile, a dire l’indicibile. Corpi di donne che si fronteggiano e che si sostengono, donne con braccia forti che possono colpire ma che sanno anche cullare, corpi che talvolta cadono ma che sempre si rialzano. Corpi che aderiscono a un velo, confine materiale e metaforico tra quello che si può vedere e ciò che si può solo immaginare. Come Kore esprime la tautologia insita nel suo stesso nome, fanciulla tra le fanciulle che resta senza nome, Maristella Martella incarna l’archetipo della danza tradizionale, riavvolgendo sul suo indice puntato in alto – come il fuso col suo filo – tutto il peso dell’eredità di cui è portatrice. Quella della coreografa di Tarantarte è meta-danza, è la danza che pensa sè stessa nel suo continuo farsi e disfarsi. Premesse a Kore è il tentativo di trovare una poetica, di statuire un approccio più fecondo alla danza popolare tentando la via delle suggestioni e degli incroci, anche arditi, tra antico e contemporaneo, nella consapevolezza dell’inesistenza di canoni codificati e con la voglia furiosa di generarne di propri.

Regia e coreografie Maristella Martella
Interpreti
Manuela Rorro, Alessandra Gaeta, Giulia Piccinni, Claudia Sarcinella

Biglietto Danza il Popolare acquistabile qui

 


ETHNOS GENERAZIONI: FINALI CATEGORIA DANZA

Fonderie di Villa Bruno
ore 18.00

Andrea De Siena
CREATURA/DanceResearch

Ingresso gratuito

 


 

Villa Bruno

Villa Bruno è una villa vesuviana sita in via Cavalli di Bronzo a San Giorgio a Cremano (Napoli). Da molto tempo è il centro culturale della cittadina, ospitando concerti, manifestazioni ed il premio Troisi, dedicato ai giovani comici. Ospita inoltre molti uffici comunali ed è sede di varie associazioni. Dal 2002 è anche sede della biblioteca comunale, sulla base di una cospicua donazione fatta dal cav. Giacinto Fioretti, che ne ha anche curato la sistemazione. È quindi conosciuta come “Palazzo della Cultura Vesuviana”.
La villa fu proprietà dapprima della famiglia Monteleone, e successivamente della famiglia Lieto. Durante il periodo in cui i Lieto furono i tenutari dell’edificio, esso ospitò a più riprese per le vacanze il Cardinale Luigi Ruffo Scilla, Arcivescovo di Napoli nonché parente del famoso cardinale sanfedista Fabrizio Ruffo. A partire dal 1816 la villa ospitò la fonderia Righetti, nella quale avvenne la fusione dei cavalli delle due monumentali statue equestri raffiguranti Carlo di Borbone (futuro Re Carlo III di Spagna) e Ferdinando I delle Due Sicilie (già Ferdinando IV di Borbone), le quali furono poste nel 1829 in piazza del Plebiscito a Napoli. Nelle fonderie avvenne inoltre la fusione del monumento in bronzo a Pulcinella, che oggi adorna il cortile principale della Villa. Originario di Roma, Francesco Righetti era il fonditore di fiducia dello scultore Antonio Canova, che era commissionario delle due sculture. L’artista passò molto tempo a Napoli nel periodo di realizzazione delle opere, e grazie alla sua influenza e notorietà riuscì a far localizzare l’impianto industriale a S. Giorgio nonostante le proteste dei numerosi nobili che abitavano nelle vicinanze. Il motivo per cui Righetti, nel 1816, scelse proprio San Giorgio per edificare la fonderia, poi trasformata dai Bruno in vetreria, sembra essere legato all’attiva collaborazione con il marchese Cerio il quale, grande ammiratore del Canova, intercesse favorevolmente per cosentire al Righetti di impiantare la struttura a Villa Bruno nonostante le vive proteste dei nobili confinanti. Prima della sua destinazione attuale, una sua parte è stata sede della locale stazione dei Carabinieri.

 

 

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